Crisalide di luce nuova

Crisalide

 

Non avevo saputo resistere al desiderio di fermarmi. Poco prima avevo sbirciato solo per un attimo, torcendo il capo alla mia destra, per quel breve momento concessomi da una guida attenta su una strada stretta, illuminata unicamente dai fari della mia auto. Ero rimasto folgorato da un insolito paesaggio, malgrado gli attori chiamati ad interpretare quello scenario fossero, in quel contesto, gli stessi di sempre, ossia il mare e la luna. Avevo parcheggiato poco più avanti, su uno slargo creato probabilmente apposta per gli amanti, non solo della fotografia. Ero sceso dall’auto e mi ero accostato alla ringhiera posizionata subito dopo, lungo un viottolo che sormontava uno strato di roccia che a sua volta creava un dislivello verso il basso di qualche metro tra la strada e una distesa di sabbia ampia alcune centinaia di metri, sia in lungo che in largo. Ammiravo lo sfondo che rendeva protagonista quella luna tersa, insolitamente più grande. La scia di luce che si rifletteva sul mare come un tappeto luminoso sembrava volesse invitarla a percorrerla, per regalarle l’opportunità di adagiarsi sulla morbida spiaggia. La osservavo come si osserva normalmente una bella donna dal volto trasparente, senza trucchi o veli, fulgida nella sua intensità, attraente nel suo misterioso magnetismo.

Decidetti allora di scendere giù, approfittando della presenza di una scaletta in legno semi-fatiscente, priva di corrimano, forse costruita da un falegname improvvisato che in seguito l’avrebbe lasciata nell’assoluto degrado di una perenne esposizione ai raggi solari diurni. Le scarpe si riempirono subito di una sabbia finemente lavorata, tanto da convenire che potesse trattarsi del risultato di un accurato strofinio di pietre, simile a quello di una carta vetrata, protrattosi per milioni di anni. Mi tolsi le scarpe, e i miei piedi nudi saggiarono l’avvolgente freschezza di quella distesa di rena marrone mogano, apparentemente incontaminata da detriti di vegetazione arborea. Non colsi perciò il pericolo di ritrovarmi punto da qualche scheggia acuminata, malgrado l’ora notturna non mi permetteva una visione limpida. Iniziai a percorrere quella superficie di terra con passo precario ma deciso. Non so esattamente cosa mi spingesse ad allontanami dalla mia auto in direzione di quel mare, ma ricordo che il rumore tenue delle onde indotte da una leggera brezza cominciava ad accarezzare le mie orecchie, con una intensità in crescita man mano che mi avvicinavo alla battigia che intravedevo irrorata da un andirivieni di schiuma marina.

Giunsi finalmente a qualche metro dai gorgogli di quella discreta effervescenza, ammirai ancora una volta il fascio di luce sul mare, in direzione di quella splendida luna, e controvertetti l’idea sulla natura di quel tappeto luminoso, ritenendolo creato apposta per una mia fruizione, in direzione di quell’astro che prometteva franchezza e sincerità. Ovviamente l’idea di un tragitto in quella direzione la colsi come una metafora, ma ebbe l’impeto di permeare il muro delle mie incertezze, edificato da qualche tempo nei meandri della mia mente tra convinzioni ed interazioni.

Quella luce mi stava regalando la discriminazione di ciò che sembrava da ciò che era. Mi stava conducendo ad una soluzione, alla valutazione dell’ovvio senza l’ipocrisia di un preconcetto, ad una logica conclusione dinanzi ad una perseverante ambiguità. Stava illuminando ogni anfratto della mia mente, creando sintonia ed armonia nei pensieri che fino ad un attimo prima erano ostacolati da discrasie attecchite negli ultimi mesi. Ebbi tutto chiaro. Tornai indietro ricalcando le mie stesse orme, come se seguire la retta del mio precedente percorso potesse significare coerenza rafforzata nel tempo.

Arrivato davanti alla scaletta rimisi le scarpe e risalii al livello stradale. Mi voltai indietro per ammirare nuovamente la luna. La rividi più lontana di prima, e mi piaceva pensare che l’essere stati per qualche minuto l’uno di fronte all’altra le avesse consentito di inculcarmi una consapevolezza che mi consentiva, da adesso in poi, di andare incontro al mio destino non più da semplice passeggero in balia di un itinerario che non mi è permesso scegliere, ma da timoniere di una barca col privilegio di muovermi in assoluta indipendenza, cavalcando le onde della vita senza lasciarmi travolgere dalle stesse, abbandonando le incertezze che molto spesso si accostano in simbiosi alla paura di sbagliare.

Come crisalide dischiusa al momento cruciale, ai miei occhi la luna aveva liberato una nuova luce, diversa da quella che solitamente soddisfa i passi notturni di un viandante di campagna. Io, abitante di città, abituato ad un cielo decorato con profili in cemento e con luccichii di finestre al posto delle stelle, rivedevo le mie nuove prospettive. Mi rimisi al volante della mia auto, e mi resi conto che la direzione che avevo preso non mi apparteneva più. Feci una breve manovra e uscii dal parcheggio prendendo la direzione opposta a quella verso cui ero diretto prima. Il luogo da cui fuggivo era diventato la mia prossima destinazione.

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Distratti bistrattati (#4)

DistrattiBistrattati

( 4 – Continuazione )

Entro in cucina già vestito e non mi aspetto di trovare una tavola già imbandita con provviste saporite. La categoria del single porta con sé la manifesta dichiarazione di poter (o dover) fare a meno di un caffè servito a letto e di una invitante colazione a prova di qualsiasi schizzinoso dell’alimentazione. Ben altro, a cominciare dalla penombra che vado subito a sopprimere aprendo le persiane. Finalmente un po’ di luce naturale, a riprova che il giorno è veramente iniziato. Fin quando non colgo il chiarore del mondo esterno, ho paura di essermi sbagliato ad alzarmi. Mi ricordo un mattino, presunto tale, di essermi alzato al consueto invito della mia sveglia, e solo dopo mezz’ora abbondante mi accorsi di essermi sbagliato a farlo, poiché l’ora segnata dall’orologio in cucina controvertiva abbondantemente quella segnata sulla sveglia. Due ore di sonno prese e buttate nel water. Stamattina tutto regolare. Sul tavolo solo il quotidiano, lasciato nel tardo pomeriggio di ieri al mio rientro dal lavoro, cui ho fatto seguito i frettolosi preparativi per l’invito di Carlo e per una nottata di cui, col senno del poi, avrei fatto volentieri a meno. Prendo la mia tovaglietta, la stendo sul tavolo, afferro lo yogurt dal frigo e i biscotti con gocce di cioccolato dalla dispensa, adagio il tutto sui colori caldi del tappetino stile America e gli affianco un anonimo tovagliolo di carta bianco. La mia colazione è insospettabilmente pronta in un lampo, ma niente a che vedere con fumanti croissant appena usciti dal forno messi accanto ad una tazza, variopinta fuori e invitante dentro di un caldo infuso, spudorato plagio di una casa tipo mulino bianco. Quando non si può avere qualcosa, si è vincenti lo stesso se ci si accontenta. Per questo posso ritenermi un maestro esemplare. Avere un giornale accanto, attingere con una mano dall’informazione, e con l’altra dal cibo, mi consente di sostenere che l’obiettivo primario è acclaratamente raggiunto. Sfoglio le pagine comodamente adagiate sul tavolo lasciato sgombro dall’esiguità di spazio richiesta dal mio cibo, e mi soffermo sulla rubrica settimanale di un giornalista che affronta in terza pagina un tema leggero dal titolo “La febbre del sabato sera, oggi come quarant’anni fa”. Leggo solo l’inizio dell’articolo:

“Sono passati quasi quarant’anni da quando ebbe origine la Febbre del sabato sera, e i giovani di oggi, come allora, continuano a viverla come un momento culminante della settimana. Stasera finalmente, durante questo nuovo sabato, metteranno in disparte le loro misere condotte e cacceranno fuori un temperamento inespresso… “

Mi blocco, mentre una briciola di biscotto mi va di traverso. Rimango confuso ancora un poco. Strizzo gli occhi, ma credo di aver letto bene. Questa consapevolezza mi mette disagio, quasi angoscia. Cerco subito un indizio, la prova che i miei timori siano infondati. Guardo meglio sulla pagina, in altro, di fianco. Nulla. Richiudo il giornale, guardo la prima pagina e finalmente trovo qualcosa: “6 febbraio 2016”. Non basta. Continuo a cercare e finalmente trovo quel che cercavo: “Edizione del sabato”.

Sabato ?

Mi avvilisco. Sono da quasi un’ora in piedi e ho sotto il naso l’edizione di un quotidiano datato sabato 6 febbraio 2016. Un quotidiano che ho comprato ieri. Ciò non mi lascia alternative. Oggi non può che essere…

Domenica !!!

Stramazzo dentro.

Oggi la mia Regola del Contrappasso è stata stracciata impietosamente.

( 4 – fine )

Distratti bistrattati #1       Distratti bistrattati #2       Distratti bistrattati #3

Distratti bistrattati (#3)

DistrattiBistrattati

( 3 – Continuazione )

I gesti sono apatici, in sintonia con le mie timide intenzioni di iniziare questo giorno che certamente non si distingue per compiti inediti ed esaltanti. Ma quest’oggi non so se augurarmi un imprevisto stimolante, senza che debba però temere anche qualche grana da cui districarmi con fastidiose seccature. Combattuto tra il fascino del nuovo e il timore dell’imponderabile. Per fortuna che non sarò certo io a farmi carico di una scelta  con implicazioni di colpe eventuali. Comunque sia, adesso mi ritengo asciutto. Tolgo l’accappatoio e mi accingo alla noiosa scelta del vestiario. Mi piacerebbe poter premere un pulsante, preposto per la fuoriuscita di un apposito ripiano dall’armadione, e vedermi mostrato ciò che posso indossare senza pruriginose valutazioni, ma questa ipotesi ricorre solo al cinema che può mettere a frutto la fervida fantasia di uno sceneggiatore di fantafilm. In questa sterile sede non posso aspettarmi soluzioni servite su un vassoio d’argento. I tessuti dai colori e dai tagli consueti li trovo appesi o impilati, prossimi a diventare desueti. Messi da parte, il gruppo di quelli altrettanto puliti, ma che invocano da tempo la stiratura come manna da un cielo logoro di affari uggiosi. Come da prevedibile copione, pantaloni e felpa presi a caso, e da un apposito cassetto la biancheria intima. Una sequenza di gesti rassomigliante ad una urticante arrampicata, finalizzata al raggiungimento dei frutti di una giornata lavorativa, una sequela che si ripete quasi tutte le mattine, sei giorni su sette. Aspetto la domenica per rendere onore ad una mia regola precisa, che io definisco, la Regola del Contrappasso. Quel giorno niente sveglia, niente impegni, nessun incontro, almeno fino all’ora di pranzo. E’ il suono dell’aspirapolvere dell’inquilina di sopra a destarmi, un rumore attutito da uno spesso solaio e che non mi arreca alcun fastidio, anzi è il dolce suono di un lavoro che non mi appartiene. Ma oggi non è domenica, e la colazione mi aspetta.

( 3 – continua )

Distratti bistrattati #1              Distratti bistrattati #2              Distratti bistrattati #4

Distratti bistrattati (#2)

DistrattiBistrattati

( 2 – Continuazione )

Tutti i giorni la solita solfa. La mattina sono come un computer appena acceso, che si ingolfa con le prime operazioni di lavoro mentre già le altre cento occorrenze richiedono la loro esecuzione simultanea. Me la prendo comoda. I vapori della doccia adesso aprono i miei pori, e sono in simbiosi col discioglimento delle mie nebbie, lasciandomi lo spazio per qualche ricordo, alcuni fotogrammi rimasti impressi dalla notte appena trascorsa: una scomposta visione di tanta gente messa insieme, agitata al ritmo di un’assordante musica fatta di ripetuti rintroni grevi, e lo spesso vetro di un bicchiere da birra semivuoto davanti ai miei occhi, causa di tale distorsione oculistica. Non ricordo ancora il contesto, ma deve avere a che fare col compleanno di un tizio che non è certamente nella mia lista dei contatti. I miei amici hanno la pessima abitudine di non perdersi nemmeno il party allestito per l’ottantesimo compleanno del nonno della loro baby sitter a ore. Il guaio è che senza volerlo mi ritrovo imbucato in ogni sorta di celebrazione, perché trascinato dalle lusinghe di una promettente serata, che regolarmente finisce per essere troppo scontata. Senza dare ascolto ai miei amici, stamattina avrei avuto alle spalle ben otto ore di riposo e tanto argento vivo da impiegare. Invece eccomi qua, barcollante, e la maniglia della doccia non mi serve solo a regolare la temperatura, ma anche a combattere le vertigini che mi colgono ad occhi chiusi, mentre provo ad assaporare il caldo getto d’acqua sprizzato sul mio volto.

Porc….!

L’accappatoio è rimasto riposto nel cassettone. Mi toccherà uscire dalla doccia seminando gocce d’acqua ovunque, nudo e deficiente come un verme, mentre i miei piedi riprodurranno quell’irriverente effetto sonoro provocato dall’aquaplan con le ciabatte. Nulla da eccepire. Proprio un buon inizio di giornata. Se devo confidare nei buoni auspici di questo mattino, ho proprio poco da stare allegro. Esco dalla doccia, e prima che il processo di congelamento mi raggrinzisca la pelle, mi affretto a percorrere il corridoio, apparentemente noncurante delle goccioline che dissemino. Giungo in camera da letto, apro il cassetto e afferro il morbido accappatoio, lo indosso all’istante, attenuando in parte l’insofferenza per ciò che mi sono lasciato alle spalle. Faccio un assenso col capo, come se bastasse una smorfia dispettosa per vincere gli intoppi del mattino. Ma questo giorno è appena iniziato, e piuttosto che temere altri nevrastenici intralci, confido in un recupero brillante nel pomeriggio.

( 2 – continua )

Distratti bistrattati #1             Distratti bistrattati #3

Distratti bistrattati (#1)

DistrattiBistrattati

Cavolo! Già mattina?

La mia imprecazione è trita e ritrita come un rito liturgico. La sveglia non l’ho mai sopportata come soprammobile, figuriamoci come espressione di un monito, con l’ingrato compito di uno sguaiato assolo ancor prima dell’alba. Mi piacerebbe che fosse più arguta, in grado di ben decodificare il mio bieco sguardo che le indirizzo ogni volta che desidero zittirla all’istante. Relegato invece al contrito e goffo tocco di un pulsante che regolarmente non trovo, ma che giuro di aver visto fino alla sera prima.

Trovato!

Come al solito, nebbia negli occhi e cotone nella mente. Le rotative del mio cervello stridono ancora. Hanno bisogno di più tempo per mettersi a regime, ormai lo so per certo.

Che giorno sarà oggi? Venerdì, o forse sabato. Non importa, lo scoprirò presto. Gli effetti collaterali di una notte insonne si fanno ancora sentire. Ma adesso è il momento di alzarsi. “Quando il sergente ordina, il soldato esegue”. C’è tempo per comprendere, pur sapendo che una parte di me non è disposta a farlo. Preferirei prima aspettare che qualche raggio di sole faccia la sua quotidiana apparizione tra le persiane semichiuse della mia camera da letto, ma non posso farlo. Obbligatorio accendere l’abat-jour, in questo giorno d’inverno che pare abbia sacrificato la luce del sole alle spalle delle montagne di un orizzonte improbabile. Mi armo di stoica indulgenza, mi tiro su e rimango seduto sul letto ancora per qualche secondo. Poi il solito tip tap con i piedi, fin quando riesco finalmente a trovare le ciabatte, mai messe a regola d’arte ai piedi del letto, e illudendomi di avere fatto il pieno della necessaria pazienza, mi metto in piedi.

Tappa obbligatoria, il bagno. Lo specchio mi ricorda che a quest’ora non sono un gran belvedere, e forse a qualunque ora. Tra poco, dopo i miei bisogni fisiologici, saranno i vapori della doccia calda a schiarirmi le idee, ancora aggrovigliate nel turbinio di ragioni incerte.

( 1 – continua )

Distratti bistrattati #2

Retrogusto

retrogusto

La vidi ch’era ancora lontana da me, e la riconobbi subito, anche grazie ai capelli biondi meches che era solita tenerli tirati in su. Era accanto alla cesta delle offerte del giorno, e la scorsi mentre agitavo una bottiglia di vino per analizzarne i sedimenti. “Anche oggi la rivedevo al market” , l’unico posto dove l’avevo sempre incontrata, finora. Mentre riponevo la bottiglia nella mensola, già mi apprestavo a percorrere il lungo corridoio in quella direzione, con la frenetica disamina dei “Cento migliori modi per agganciare una donna”, magari dicendo qualcosa che non fosse banale, e nemmeno troppo compiacente. Stavolta non l’avrei lasciata andar via senza prima conoscere il suo nome, e un po’ della sua voce. Avrei saputo qualcosa in più di lei, e non semplicemente il resoconto di una mia gratuita immaginazione. Mi accorsi che mentre mi avvicinavo, lei aveva già scelto il suo prodotto da acquistare, una confezione doppia di shampoo e balsamo tenuta seminascosta da un tulle rosa, e adesso si dirigeva verso le casse, giusto alle mie spalle. Tutto convergeva verso i migliori auspici. Anche il suo sorriso, che era solito fare assieme ad uno spiccio saluto, cominciava a stagliarsi dal suo volto. Le sorrisi anch’io, mentre ero a pochi metri da lei. Avevo anche rallentato il passo, pronto a gettare l’ancora ai suoi piedi. Non ci fu sorte! Lo squillo del suo cellulare la distrasse da ciò che aveva attorno a sé, me compreso. Dovetti cambiare passo, scompostamente, proseguendo nella mia marcia, affiancandola, e superandola, perché lei era presa dalla telefonata di un rompiscatole che già odiavo senza nemmeno averlo conosciuto. Raccolsi un amaro in bocca mentre vedevo lei avvicinarsi alla cassa e deporre l’unico acquisto del giorno, cellulare sempre all’orecchio. Così mi diressi verso il banco frigo dei gelati. Qualcosa mi convinse a scegliere il barattolone da un chilo dell’affogato di stracciatella, che già sentivo intimamente affine.

(Le microstorie di Lucio – 17/09/2015)

Festa di compleanno

La musica non accennava a placarsi. Il frastuono riempiva le mie orecchie senza alcuna discrezione, e si infrangeva contro ogni mio desiderio di quiete, con la lancinante pressione simile a quella di un boxer durante la sua offensiva finale. La gente attorno era incantata in un’unica espressione, difficilmente intelligibile. Barcollavo, mentre vedevo attorno a me oggetti animati e anime oggetto muoversi irrazionalmente. Sembrava di dover assistere ad un rito mistico, di cui solo saggi intenditori avrebbero saputo dare chiare delucidazioni. Vidi in fondo una porta socchiusa, l’unico accesso alla via di fuga da quel groviglio di fragori, e mi diressi verso essa con decisione, come se stessero scandendo gli ultimi secondi di un conto alla rovescia. Spalancai l’uscio varcando la soglia, e con una decisa girandola lo richiusi di botto, affievolendo bruscamente i rumori molesti alle mie orecchie. Il buio mi riempì gli occhi, saturi fino a poco prima di luce abbondante, e per alcuni secondi mi affidai al tatto delle mie mani per rassicurarmi dalla sgradevole sensazione dell’imperscrutabile. Mentre gli occhi iniziavano a dare il loro fattivo contributo per la scoperta del nuovo spazio in cui mi trovavo, già sentivo distendere le mie tempie, e con ritrovata lucidità cercai a tastoni il pulsante della luce. Fui fortunato. Negli ambienti estranei si è soliti vagare a lungo, prima di rintracciare interruttori, telefoni e toilette. Questa volta, a primo tocco, colsi con benedizione divina un interruttore a sfioramento, mai sperimentato prima di allora, felice di poterlo fare per l’occasione. Accompagnai la comparsa della luce con un’esclamazione gutturale di sollievo, ma in quello stesso istante un nuovo boato accolse il mio timido desiderio di quiete. Nuovi strilli, nuove grida, nuovi slogan. Il tutto con lo stesso esplicito contenuto. La mia festa di compleanno a sorpresa non mi lasciava tregua.


(Le Microstorie di Lucio – 3 maggio 2015)

Tempi prematuri

Mosso da un profondo senso di fame, m’alzai, e ritenni di fare cosa gradita alle mie papille gustative nel dirigermi verso la dispensa. Intinsi l’indice digiuno in quel barattolo, pieno di pastoso nocciolato, ma rimasi smarrito, mentre la mia falange puntava verso la bocca, unta ma non priva d’un brulicar d’insetti. Colto da irrefrenabile irascibilità, indirizzai le mie più risolute invettive verso quegli insulsi clandestini, ma mi resi conto di non essere adeguatamente esaustivo. Vidi nei pressi il contenitore dei rifiuti e lo incaricai di un nuovo mandato. Quel barattolo, maledettamente contaminato, prese subito una nuova dimora, e convenni che l’idea iniziale d’un carico glicemico era ormai tramontata. Come in una favola di Esopo, realizzai che i tempi per i ghiotti bagordi erano prematuri, e tornando a letto, rassegnai la mia bocca ad un blando sapore insipido.


(Le Microstorie di Lucio – 1° maggio 2015)