La piuma

“… alcuni cavalli erano impastoiati davanti alla locanda dove cavalieri senza macchia e senza paura sostavano per stordirsi di vino, procurandosi macchie sulle vesti mentre cercavano di dimenticare la loro paura…” (La piuma di G. Faletti)
Lapiuma
Breve ma significativo contributo di un grande uomo, che con “La piuma” ha lasciato in eredità una lucida rappresentazione di ciò che muove la mente umana, trainata spesso da artifici illusori, ma in realtà depositaria, nel suo lato nascosto, di conclusioni e valori schietti e semplici. E da limpide visioni, come potrebbe essere proprio quella di una bianca piuma, derivano sbocci di soluzioni sorprendenti, in armonia con la natura e nel pieno rispetto del genere umano. É come poter vedere dal di fuori i paradossi della vita, in cui spesso rimaniamo invischiati, e che solo da postazioni privilegiate possono essere appurati nella loro crudicità. Il messaggio che una piuma bianca possa, durante il suo cammino aereo, auscultare l’animo dell’uomo, fino al ritrovamento di colui o colei che possa aiutarla a depositarsi nella sua giusta collocazione, costituisce la liberazione della mente, il raggiungimento del tanto agognato equilibrio perfetto, che solo un paio d’ali di grandi piume è capace di azzardare.

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Vieni a prendermi, di F. Demaria


Giungere al termine di un libro è qualcosa di liberatorio, ma nel contempo nostalgico. Aver vissuto come spettatore, affacciato al davanzale di una finestra privilegiata, osservando e ascoltando le vicissitudini dei protagonisti del romanzo “Vieni a prendermi” (F.Demaria), in una storia senza limiti di tempo e discrezione, vuol dire farne parte. Già adesso sento il distacco, simile a quella che si prova quando un caro amico ritorna alla sua terra lontana. Nel libro, la descrizione dell’autore è, come di consueto, ricco di particolari che centrano, senza possibilità di travisare, il preciso stato d’animo dei protagonisti del romanzo. L’intreccio delle vicende si incastona in una realtà vissuta nel secolo scorso, oggi tenute vivide dai racconti dei nostri nonni e dei nostri genitori. Transitare più volte dal passato al presente e viceversa, secondo un percorso studiato con cura dall’autore, non pesa affatto, e anzi riempie in modo razionale il bagaglio di particolari che destano il progressivo interesse verso la scoperta del momento culminante, al termine del racconto. Le emozioni non mancano, soprattutto per quelli come me, in grado di apprezzare i rapporti tra persone, e la mistura di sentimenti come amore, lealtà, rispetto, orgoglio, sacrificio. Grazie all’autore, che anche in questa sua opera ha saputo trascinarmi in una viscerale partecipazione, profonda per lo spessore dei valori cui ha saputo dar fondo.

Aria nuova

Nel romanzo ARIA, il viaggio nell’introspezione dell’uomo, un’accurata disamina dei pensieri che vorticano, attimo dopo attimo, all’interno delle menti dei personaggi scrupolosamente trattati dall’autore, in una geniale successione di fatti e riflessioni, ben mescolati tra loro, nei modi e nei tempi.

Le descrizioni, direi quasi maniacalmente minuziose e puntuali, non lasciano spazio a fuorvianti interpretazioni sugli stati d’animo, sulle emozioni, e sui turbamenti delle persone, tanto che il lettore, di lì a poco, non può fare a meno di condividerli, nemmeno se il personaggio di turno è il cattivo del romanzo. Dieci anime, tutte rientranti in un contesto di vita reale, tutte accomunate tra di loro da un’aura di benevolenza, da un sigillo di umanità, che conducono inevitabilmente all’approvazione da parte del lettore di tutti i soliloqui che vengono sciorinati a mezzo di ragionamenti fluidi e dinamici.

Del libro ho apprezzato anche l’uso del verbo (al presente) e della persona (la prima), un meccanismo semplice ma geniale allo stesso tempo, perché rende il lettore protagonista, e non semplice spettatore, di una storia che si smatassa in un breve lasso di tempo (qualche giorno), durante il quale il racconto tratta del presente, momento per momento, ma anche del passato, solamente come ricordo vissuto al presente, e del futuro, come imprevedibile evoluzione del presente.

Il riferimento all’aria, come elemento che accomuna tutti i personaggi, si manifesta ripetutamente all’interno del libro, e costituisce il minimo comune denominatore che sta alla base di tutte le storie dei personaggi, storie che riescono con precisione ad intrecciarsi tra di loro, creando una sorta di combinazione e di casualità fortuita, e generando nel finale il suo culmine inatteso, non certo retoricamente conformato al classico “… e vissero tutti felici e contenti“, ma piuttosto ad un “… punto e accapo, da questi cocci si ricomincia“.

La lettura del libro propone il tema eutanasia, non so se inconsapevolmente o sagacemente offerto ai lettori per una libera riflessione individuale.

Il libro sarà a breve presentato al Salone Don Bosco (Avola – SR), sabato 18 dicembre 2010, ore 18.30, dove sarà presente anche l’autore.

vedi anche l’articolo del 3 ottobre 2010

Il nuovo romanzo di F. Demaria

ARIA  (Romanzo)

All’improvviso un vuoto d’aria, uno squarcio nel muro, nella porta, sul mio torace. Poi il silenzio. Mi sento confuso. Come sarà ora il mio elettroencefalogramma? Potrebbe somigliare al rigo piatto e nudo di un pentagramma o essere dinamico e ricco di onde in movimento dentro un monitor, che immagino acceso e furiosamente mobile. Si saranno accorti che sono vivo? Che sono ancora vivo? Forse dovrei raccontare la mia storia per far capire a qualcuno che la mia attività cerebrale è vera, che non è un’invenzione, che non sono folle e soprattutto che non sono morto.

Sì, sono vivo. E da qui voglio ricominciare

Un condominio. Sette interni e vari inquilini. Una vecchia insegnante in pensione, un timido ragioniere, un rampante avvocato, un’adolescente al suo primo innamoramento, una coppia in crisi che non riesce ad avere un figlio, una brillante studentessa universitaria, un ex ufficiale francese che nasconde un segreto. Le loro vite saranno stravolte da un evento che le rimescolerà completamente, unendole o separandole per sempre.

FABRIZIO DEMARIA

EDIZIONI CREATIVA

http://www.edizionicreativa.it

Dal 23 ottobre 2010 richiedibile nelle librerie di fiducia

L’eleganza del riccio

 

 

Ho l’emozione ancora viva in me. Mi capita spesso, quando ho da poco finito di leggere un libro. Lo rivivo, seguendo un percorso che rivela le giustificazioni e le comprensioni degli episodi che ne hanno scandito la lettura. Episodi e descrizioni che sul momento non destano l’altisonanza che inesorabilmente noi lettori pretendiamo, parola dopo parola. Questo è un limite, un pregiudizio che trae la sua origine dalla primaria necessità di tenere sempre alto il livello di coinvolgimento, in grado di lenire le frustazioni provocate dalle indifferenze che derivano dal quotidiano vivere.

Ma ci sbagliamo tutti. A volte, ciò che sembra, non è. Lo sostengo pure io, che ho sbandierato il valore di quell’impulso irrazionale, l’istinto, che, a mio avviso, ci toglie da quell’incresciosa incombenza di una scelta di vita. Ma, in questo caso, è proprio l’istinto che ci deve guidare alla pazienza, all’attesa, e, soprattutto, alla fiducia.

Può un libro, che per la sua prima metà illustra enunciati filosofici, esposizioni psicologiche, ghirigori dello stesso concetto, trasformarsi nel romanzo coinvolgente, terribilmente conforme ad una realta che ci appartiene ?

Sì, in modo assoluto. Ne ho la prova dopo la lettura del libro di M. Barbery, L’eleganza del riccio, che, premiando una persistente lettura, con una metamorfosi farfallina, caccia fuori inaspettatamente quella passione che travolge e riempie. Riempie nella maniera più cruda, quasi a riproporre il principio secondo il quale questo mondo non è fatto di bambole e favole.

Sconvolto. Questo è l’esito personale della lettura del libro. Sconvolto dall’accelerazione improvvisa a cui il libro si piega, a servizio del lettore, che vive soprattutto di emozioni e condivisioni. Ragguagliato sul fatto che la vita oggi ci dà, domani ci toglie, quasi a rendere applicabile la regola del contrappasso, in qualche modo rievocata dal pensiero della protagonista quando ammette a sè stessa di non aver mai voluto trarre vantaggio dalla sua mente (virtuosa), a dispetto della sua classe sociale, perchè l’avrebbe portato sicuramente alla punizione.

Faccio i miei complimenti all’autrice, oltre al ringraziamento per l’avermi omaggiato del carico di emozione di cui non mi sono ancora assuefatto.

Pelle

 

 

Pelle. La nostra scorza. Ma non solo. E’ quel guscio che tenta di proteggere il nostro intimo, ma che, in fondo in fondo, non riesce a nascondere le nostre caratteristiche intrinseche. E’ uno strumento di conoscenza, forse rudimentale, ma che dà la sua pronta valenza nei rapporti tra gli esseri umani. E’ il primo baluardo che capta e trasmette sensazioni ed emozioni, prima ancora che l’ascolto della parola possa indirizzarci verso la coscienza di un giudizio, che talvolta è contraddittorio rispetto ai segnali che la pelle diffonde. Ma la pelle è qualcosa di inconsapevolmente istintivo, a cui dovremmo dare ascolto, senza temere le complicazioni di un errore.

Questa è una delle considerazioni che mi sovvengono, dopo la piacevole e coinvolgente lettura del libro “Pelle” (di G. Demaria). Un libro che si legge tutto d’un fiato, che mi ha emozionato perché è riuscito a descrivere minuziosamente stati d’animo dell’uomo, nelle sue forme anche più cruente e di emarginazione, profondamente appartenenti ad una realtà che molto spesso si cela dietro la monotona quotidianità. La sua lettura stimola nuove riflessioni, come ad esempio il tentativo di comprensione del machiavellico ragionamento dei sofferenti di mente, che siamo frettolosamente propensi ad insignire col termine “pazzi”, senza tentare di evocare un sentimento di solidarietà. Riprendendo le parole dello stesso autore, raccontare le loro storie, nella maniera più cruda possibile, può disorientare, ma è un modo per trovare comprensione e significato.

Fantastico Faletti.

 

Complimenti, Giorgio. Non potevo riempire una pausa-lavoro in modo migliore. La lettura del 21° capitolo di “Io sono Dio”  è stata… da Dio. Che emozione ! Non so come, ma le tue parole, sfornate dalla tua fantasia, mi hanno dato i brividi. Non so come spiegare. Credo succeda quando, durante le tue precise descrizioni, affiorano i buoni sentimenti da sotto lo strato di pelle della gente, malgrado rassomigli ad una corteccia, aspra e indurita dalle ingiustizie subite.

L’affascinante prologo di G.Faletti in “Io sono Dio”

 

 

Nella suggestiva descrizione di Giorgio Faletti c’è la figura di un serial killer, immerso nei nefasti pensieri di quei brevi momenti che intercorrono tra l’innesco di un ordigno esplosivo e la sua deflagrazione. 

 “Inizio a camminare.

Cammino lento, perché non ho bisogno di correre. Cammino lento perché non voglio correre. Tutto è previsto, anche il tempo legato al mio passo. Ho calcolato che mi bastano otto minuti. Al polso ho un orologio da pochi dollari e un peso nella tasca della giacca. E’ una giacca in tela verde e sul davanti, sopra il taschino, sopra il cuore, una volta c’era una striscia cucita con un grado e un nome. Apparteneva a una persona il cui ricordo è sbiadito come se la custodia fosse stata affidata alla memoria autunnale di un vecchio. E’ rimasta solo una leggera traccia più chiara, un piccolo livido sul tessuto, sopravvissuto all’affronto di mille lavaggi quando qualcuno

chi?

perché?

ha strappato via quella striscia sottile e ha trasferito il nome prima su una tomba e poi nel nulla.

Adesso è una giacca e basta.

La mia giacca.

Ho deciso che la metterò ogni volta che uscirò per fare la mia breve camminata di otto minuti. Passi che si perderanno come fruscii nel fragore di milioni di altri passi camminati ogni giorno in questa città. Minuti che si confonderanno come scherzi del tempo, stelle filanti senza colore, un fiocco di neve sul crinale che è l’unico a sapere di essere diverso da tutti gli altri.

Devo camminare otto minuti a un passo regolare per essere sicuro che il segnale radio abbia voce sufficiente per compiere il suo lavoro.

Ho letto da qualche parte che se il sole si spegnesse di colpo, la sua luce raggiungerebbe la terra ancora per otto minuti prima di precipitare tutto nel buio e nel freddo dell’addio.

D’un tratto mi ricordo di questa cosa e mi metto a ridere. Solo, in mezzo alla gente e al traffico, la testa levata al cielo, una bocca spalancata su un marciapiede di New York per la sorpresa di un satellite nello spazio, mi metto a ridere. Intorno a me persone si muovono e guardano quel tipo in piedi all’angolo di una strada che sta ridendo come un pazzo.

Qualcuno forse pensa che pazzo lo sia davvero.

Uno addirittura si ferma e per qualche istante si unisce alla mia risata, poi si rende conto che ride senza saperne il motivo. Rido fino alle lacrime per la incredibile e derisoria viltà del destino. Uomini hanno vissuto per pensare e altri non hanno potuto farlo per essere stati costretti alla sola incombenza di sopravvivere.

E altri a morire.

Un affanno senza remissione, un rantolo senza aria da salvare, un punto interrogativo da portare sulle spalle come il peso di una croce, perché la salita è una malattia che non finisce mai. Nessuno ha trovato il rimedio per il semplice motivo che il rimedio non c’è.

La mia è solo una proposta: otto minuti.

Nessuno fra gli esseri umani che si affannano intorno a me può sapere il momento in cui questi ultimi otto minuti inizieranno.

Io sì.

Io ho nelle mie mani molte volte il sole e posso spegnerlo quando voglio. Raggiungo il punto che per il mio passo e per il mio cronometro rappresenta la parola qui, infilo la mano in tasca e le dita circondano un piccolo oggetto solido e conosciuto.

La mia pelle sulla plastica è una guida sicura, un sentiero da percorrere, una memoria vigile.

Trovo un pulsante e con delicatezza lo premo.

E un altro.

E un altro ancora.

Un attimo o mille anni dopo, l’esplosione è un tuono senza temporale, la terra che accoglie il cielo, un momento di liberazione.

Poi le urla e la polvere e il rumore delle macchine che si scontrano, e le sirene mi avvertono che per molta gente dietro di me gli otto minuti sono finiti.

Questo è il mio potere.

Questo è il mio dovere.

Questo è il mio volere.

Io sono Dio.”

 

Un buon libro

 

 

Stanotte non avevo sonno. Allora ho pensato bene di aprire un libro (Io uccido) che avevo finito di leggere alcuni mesi fa. Ho scelto di leggerne il primo e l’ultimo capitolo. Ho apprezzato nuovamente la capacità descrittiva dell’autore (G. Faletti) e, non sazio nè assonnato, mi sono messo a leggere il penultimo capitolo (n.64). Mi è sembrato di rituffarmi corpo e anima all’interno della vicenda trattata dal romanzo e ho potuto rigustare due sentimenti che mi appartengono fortemente, ossia l’amicizia e l’amore. In quelle 8 pagine c’è la sintesi delle migliori sensazioni, e dalla loro lettura mi si è innescato facilmente l’emozione che provoca la rottura di voce che io sono solito usare davanti ad un libro, ma anche l’effetto incontrollato di scoprirmi con gli occhi lucidi. Il contesto riassaporato è quello del classico clima da quiete dopo la tempesta. Ed è un contesto di pace e serenità , il cui apprezzamento infonde nell’intimo umano il senso della giustizia. Quelle 8 pagine sono la celebrazione di valori che sono la ragion di vita. Non mi stancherò mai di esaltarne l’importanza. E trovo triste l’idea che nella maggior parte delle persone prevarichi il sentimento dell’egoismo.